Due palazzine residenziali

Le palazzine originano dalla redazione del Piano di edilizia convenzionata che il costruttore-finanziatore aveva commissionato. Si tratta di due edifici gemelli che devono rispondere ai requisiti di economicità dell’edilizia residenziale di Vigliano. Un paese, vicino a Biella, che oggi risente della crisi strutturale del comparto tessile, che ha una domanda decrescente di case a basso costo, che in passato aveva avuto un ruolo importante per la presenza della Pettinatura Italiana e dei villaggi operai Trossi e Rivetti, un tempo ordinati e discreti, oggi rovinati dal tempo e dagli uomini.

Il concetto di luogo per noi è un concetto difficile da spiegare. Cosa si intende dire? Si intende dire che il luogo è un insieme aggrovigliato di cose, di racconti e di immagini: sono le cascine di mattoni e graticci che occupano alcune parti della collina, ricca di vigneti e castagni, sono le immagini delle fabbriche tessili, le pietre e i disegni rimasti “sulla carta” del Santuario di Oropa, sono gli abili posatori di laterizio che provengono dalla città di Adriano Olivetti. Ma il luogo è anche la descrizione di Alberto Savinio di Palazzo Carignano a Torino, la frammentazione “controllata” della casa per dipendenti Borsalino, l’“impegno della tradizione” raccontato in un numero di “Casabella-continuità”. Il luogo è una moltitudine di entità reali e immaginarie, di racconti e rappresentazioni: è sinonimo di tantissime schegge che combinate soggettivamente possono conferire insoliti significati alla parola.
Come questa idea di luogo s’intreccia alle circostanze descritte in precedenza? Come, in altre parole, le nostre ricerche e le nostre passioni si declinano nell’esperienza del progetto o nella costruzione della forma? Come, infine, questa concatenazione genera, durante il processo progettuale, delle contraddizioni insanabili?
Noi supponiamo che una compiutezza “teorica” sia possibile solo finché si sta distanti dal tavolo da disegno e dal cantiere. Citando Glenn Gould, nelle agili e utili conversazioni con Jonathan Cott (Milano 1989), si può riconoscere che “nel momento in cui ci si siede al piano questa completezza viene alterata da compromessi tattili. Fino a un certo punto il compromesso è inevitabile, ma la misura in cui è possibile minimizzarne gli effetti è esattamente la misura in cui si può aspirare a raggiungere quell’ideale di cui stiamo parlando”. L’architettura, allora, sembra altrove: e – benché l’analisi e la ricerca di corrispondenze figurative siano arnesi indispensabili per collocare l’architettura nella sua storia – la separazione tra la comprensione dell’edificio ultimato e la narrazione delle idee e dei mestieri che lo presiedono rimane un enigma.
Per questo, ipotizziamo, non ci sono risposte definitive alle questioni poste in precedenza: semmai ci sono ulteriori domande che spostano in avanti la risoluzione dei problemi. È giusto allora fermarci qui. E lasciare la parola ai disegni e alle immagini delle palazzine ultimate, sole, lì, nella loro solitudine.


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